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La sorveglianza cibernetica a prescindere come nuovo modello di democrazia occidentale?

l Prigioniero (titolo originale The Prisoner) è stata una serie televisiva britannica di culto, andata in onda per la prima volta nel 1967. Ideata e interpretata da Patrick McGoohan, raccontava la storia di un ex agente segreto — il Numero 6 — imprigionato in un villaggio misterioso, un luogo apparentemente idilliaco ma in realtà governato da un sistema totalitario e iper-controllato. I suoi abitanti erano numeri, non persone, e portavano un simbolo distintivo: un segno che indicava la loro condizione di prigionieri, reclusi non per crimini ma perché detentori di informazioni troppo sensibili per essere divulgate.


L’immagine che accompagna questo post richiama proprio quel simbolo, emblema di una società in cui la libertà individuale è sacrificata sull’altare del controllo. Ed è proprio questo il motivo per cui inizio da Il Prigioniero: perché quella distopia, che all’epoca sembrava una provocazione intellettuale, oggi si manifesta nella realtà sotto forme più sofisticate ma non meno pervasive. Il panorama della sorveglianza sta infatti subendo una trasformazione profonda: ciò che un tempo si nascondeva nei codici cifrati e nelle reti ombra, oggi emerge alla luce del sole, sostenuto da politiche, normative e discorsi ufficiali che mirano a legittimarlo e strutturarlo.


Dopo le rivelazioni di Echelon e del Datagate di Snowden, che esposero le pratiche di sorveglianza di massa delle democrazie avanzate, e la fuga di Vault 7, che svelò le capacità di infiltrazione degli Stati Uniti in dispositivi globali, le "backdoor" non sono più sussurri nei corridoi dell'intelligence, ma argomenti di discussione pubblica.


Questa transizione è ulteriormente evidenziata dalla dichiarazione di Donald Trump a favore di normative "flessibili" sull'intelligence e dall'aperto sostegno all'uso di spyware per la sicurezza nazionale. Questo cambio di rotta negli Stati Uniti, con conseguenti cambiamenti ai vertici dell'NSA, suggerisce una nuova dottrina di sorveglianza legalizzata e trasparente, potenzialmente rivitalizzando aziende del settore spyware.

Nel frattempo, Cina e Russia, con i loro consolidati modelli di sorveglianza pervasiva, osservano questo cambiamento.


Tuttavia, è l'Europa, con la presentazione del piano ProtectEU, e il Regno Unito, con la richiesta controversa ad Apple, a indicare una tendenza globale verso la creazione di "varchi legali" nei sistemi di protezione dati e questo solleva un interrogativo cruciale sul confine tra sicurezza e controllo.


La storia della guerra informatica, segnata da episodi come WannaCry (basato su un exploit sottratto all'NSA) e Stuxnet (utilizzato in Operation Olympic Games), dimostra la potenza e i rischi delle backdoor e degli exploit: in un contesto di "guerra grigia" cibernetica, dove la Cina sembra aver raggiunto o superato le capacità statunitensi, la disponibilità di backdoor può apparire un vantaggio per l'intelligence; tuttavia, la loro potenziale scoperta e il loro riutilizzo da parte di avversari, come evidenziato dal tempo medio di scoperta di uno zero-day, trasformano queste "armi" in vulnerabilità...


In definitiva, il mondo si trova di fronte a un'evoluzione della sorveglianza: da pratica occulta a dibattito aperto, ma con implicazioni significative per la privacy, la sicurezza e l'equilibrio di potere nel cyberspazio, in quanto, la creazione di backdoor "legalizzate" rappresenta un'arma a doppio taglio, con il rischio di compromettere la sicurezza stessa che si intende proteggere.


 
 
 

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